Il primo maggio è la festa dei lavoratori. Quindi anche la nostra festa. Ma il 2 maggio la festa finisce e torna la lotta. Contro il precariato, ma anche per la sicurezza in laboratori che spesso sicuri non sono. E lo ricorda un bell’articolo di Silvia Bencivelli pubblicato oggi sul Manifesto.
E allora perché non dedicare il nostro 2 di maggio ad Adriano, collega precario di Bologna, non più tra noi e vittima di un incidente in un laboratorio l’anno scorso. Era doveroso non dimenticarlo ieri, è doveroso ricordarlo oggi.
Buon 1 maggio di festa, buon 2 maggio di lotta.
Di seguito l’articolo del Manifesto
Ricercatore, una vita spericolata. La sicurezza non entra in laboratorio
«Il laboratorio chimico universitario è terra di nessuno e nessuno si preoccupa della salute di chi ci lavora»: la denuncia è di A., 34 anni, chimica a tempo determinato in un centro di ricerca del centro Italia. Anche dove i lavoratori sono laureandi e laureati, dottorandi e titolari di borse di studio, racconta A., l’attenzione alla sicurezza passa spesso in cavalleria. «Il mio è un laboratorio all’avanguardia, nuovissimo e attrezzato, ma questo non ci protegge affatto, anzi. Per dirne una: per ragioni burocratiche, le ditte che ci forniscono i solventi non vengono a portarceli direttamente qua, così noi, a turno, li andiamo a prendere in un magazzino del centro e ce li carichiamo sulle nostre macchine. Venti litri di solventi infiammabili, per 20 chilometri, con me al volante. Ma non occorrerebbe una patente speciale? E se succede qualcosa?». Anche nel laboratorio chimico di B., in un’altra università del centro Italia, l’attenzione alla sicurezza non è il massimo: «Sono stato per molti anni all’estero, in altri paesi, e le cose sono molto più efficienti». La ragione? «Secondo me, è soprattutto un problema di cultura della sicurezza: come manca per chi lavora nei cantieri, così manca anche per chi passa le giornate in laboratorio». La soluzione, trattandosi di lavoratori superqualificati, dovrebbe essere molto semplice: «Ognuno di noi ha gli strumenti per capire che non è il caso di “fare i fighi” quando si lavora con la chimica: non dobbiamo aspettare che ce lo dica il professore». Sì, un laureato ha gli strumenti per capire. A volte, però, non è facile farli valere. Nei laboratori universitari si entra giovani, freschi di studi e desiderosi di fare bella figura, precisa A, «e io vedo spesso le vecchie generazioni trasmettere i loro atteggiamenti di spavalderia alle nuove, anche con reagenti chimici notoriamente tossici». Non sempre il neolaureato ha il coraggio di dire: no grazie, io i guanti li voglio.
E non sempre il precario della ricerca ha la possibilità di alzare il dito e di ricordare al prof che andare a prendere i reagenti in macchina non rientra tra le mansioni di un assegnista di ricerca. «Tra l’altro, l’uso di alcuni di questi reagenti, come il cloroformio e il benzene, è sottoposto a severe normative o addirittura bandito nell’industria e all’estero. Mentre nell’università italiana non si deve rendere conto a nessuno di quello che si sta usando», conclude A. «Ma che cosa faccio? Mi rifiuto di toccarli?». Il problema non sembra riguardare i giovani più degli anziani. Al contrario: per A. e B. sono i professori più vecchi ad avere l’antipatica tendenza a sbuffare, e a ricordare che «ai miei tempi non c’erano tante rotture di scatole di guanti e mascherine». I giovani, in genere, cercano di essere più attenti e, qualcuno si sa far valere: «A me hanno sempre detto che sono severo, – racconta B. – ma è la mia salute e non mi interessa quello che pensano gli altri. Qui nessuno si ribella mai di niente, ma se si arriva a pensare che il professore potrebbe non rinnovarti il contratto perché sei un fifone, allora siamo proprio messi male». Con loro è d’accordo anche C, chimico in un’università del nord Italia, per il quale, però, «è più che altro una questione di soldi, per cui investe tutti: giovani, anziani, precari e no». Certo «ci sono precauzioni che non si rispettano quasi mai. Sono scongiurati i rischi immediati, esplosioni e cose così, ma magari le cappe aspiranti non funzionano come dovrebbero».
Comunque c’è poco da fare: «Anche noi, mentre il laboratorio era in allestimento, dovevamo andare a riempire i palloni di gas in un altro posto: però lo facevano tutti, anche gli strutturati, sennò nessuno avrebbe potuto lavorare». Si è sempre fatto così e tocca a tutti, insomma. Ognuno si arrangi: impari a farsi valere, non metta in giro strane voci («la volta che una mia collega raccontò a un giornalista che i guanti antiacido non li usava nessuno, furono guai»). E si salvi chi può.
altro articolo dal corriere
Corriere: Università formato famiglia In facoltà mogli, figli e nipoti di 24 rettori Il presidente Crui: i cognomi non contano
03-05-2008
I parenti. Da Varese a Salerno, da Firenze a Napoli: concorsi e assunzioni contestate. A Camerino, però, è pronto un codice etico che vieta ai parenti di lavorare nello stesso settore.
Il potere. Con l’autonomia aumenta il numero delle «legislature» dei capi universitari: il decano è Augusto Petri (a Brescia da 25 anni), secondo è Ferrara, a Napoli Parthenope da 22
«C’ era una volta una famiglia molto in voga », canticchia Gappa, al secolo Gaspare Palmieri, psichiatra e cantautore modenese. «La famiglia del rettore», così si intitola la filastrocca, è composta da una moglie preside, un fratello professore ad Avellino, ed una nonna esperta di geriatria, più svariati parenti e affini, tutti rigorosamente in «toga». La canzoncina satirica apparsa per la prima volta sul web, rapidamente ha contagiato le aule dell’ateneo di Modena, dove i due rampolli del rettore Giancarlo Pellacani sono diventati ordinari a tempo di record.
In Italia sono 24 i «magnifici» con «famiglia». Ci sono anche mogli impalmate prima di indossare l’ermellino, fratelli e cugini colleghi di facoltà. Ma in 19 casi parliamo di figli, sangue dello stesso sangue, per i quali più di un rettore si è messo nei guai.
Ne sa qualcosa il potente numero uno dell’università di Firenze, Augusto Marinelli, per tre anni nel mirino della magistratura a causa dell’assunzione di suo figlio Nicola. Nel 2002 il giovanotto è stato promosso ricercatore di Economia Agraria grazie ad un concorso bandito dalla facoltà di Medicina. Da Firenze l’inchiesta è passata a Trieste, e anche se il pm ha chiesto l’archiviazione, non ha potuto fare a meno di sottolineare le «anomalie» del sistema.
Sono invece alle prime battute le indagini sulla Sapienza. E anche in questo caso lambiscono il rettore, Ruggero Guarini, per l’appalto vinto dal professore di Progettazione che ha promosso ricercatrice sua figlia, Maria Rosaria. La secondogenita, Paola, insegna invece architettura degli interni, e tutte e due erano state dipendenti amministrative prima di passare dall’altro lato del corridoio.
Il presidente della Crui, Guido Trombetti, invita alla cautela. Anche lui ha una figliola che lavora nel suo stesso ateneo, la Federico II: «Tuttavia, finché si rispetta la legge non vedo quale sia il problema. Calare dall’alto delle limitazioni non serve. L’importante è che prevalgano sempre capacità e merito a prescindere dai cognomi ».
Ma sempre più spesso la gente, dentro e fuori l’università, si indigna. A Salerno alcuni giornali locali hanno contestato la nomina a ricercatore del figlio del rettore Raimondo Pasquino. Era l’unico candidato al concorso, e così ha vinto nonostante il curriculum ancora acerbo. A Bologna, invece, due parlamentari del centrodestra hanno convocato una conferenza stampa per discutere delle parentele togate di Pier Ugo Calzolari, impegnato fino a poco prima nella stesura di un codice antinepotismo. Il magnifico ha reagito querelando: «Giacomo (il figlio docente ad Economia ndr) è stato danneggiato dalla nostra parentela ».
Giovanni Pellacani, uno dei rampolli modenesi presi in giro da Gappa, ha vinto il concorso da ordinario a 36 anni. L’età media per chi ricopre certi incarichi sfiora i 60. Meglio di lui ha fatto Giovanni Perlingieri, promosso poco più che trentenne per la gioia del padre Pietro, ex rettore dell’Università di Benevento. Il numero uno di Macerata, Roberto Sani non ha discendenti all’università ma una moglie bibliotecaria. Il che, nel generale andazzo, è nella norma. Ben più eclatante è l’exploit della sua assistente, Anna Ascenzi, che in quattro mesi ha superato due concorsi, passando da ricercatrice ad ordinaria. Qualche giorno fa, il Secolo XIX ha rivelato le somiglianze (parti dell’indice e intere frasi) tra uno dei saggi della pedagoga e la tesi di un sacerdote laureatosi vent’anni fa alla Cattolica di Milano. All’ epoca il correlatore era, guarda caso, lo stesso Sani. «Così fan tutti», verrebbe da dire. Ma c’è anche chi la pensa diversamente: «Stiamo per approvare un codice etico che impedisce a docenti imparentati di lavorare nello stesso settore», afferma Fulvio Esposito, a capo dell’università di Camerino, famoso per aver annunciato che si sarebbe dimesso se la figlia si fosse iscritta nel suo ateneo: «Mettere dei paletti è importante — spiega — ma può non bastare: c’è sempre qualcuno che si diverte a fare lo slalom».
Antonino Liberatore, a capo del sindacato dei docenti Uspur, ricorda ancora i tempi in cui «i figli venivano messi alla prova dai propri padri». Per il professore fiorentino «un ragazzo che riesce a imporsi senza raccomandazioni è motivo d’orgoglio per i genitori. Eppure le cose vanno esattamente nel senso opposto».
L’autonomia ha consegnato nelle mani dei rettori un potere quasi assoluto. Al punto che alcuni di loro si sono assicurati una specie di clausola per l’eternità. Con l’appoggio del senato accademico hanno annullato i limiti di eleggibilità e ora governano come «highlander» le università italiane. Il decano è il bresciano Augusto Preti, incollato alla poltrona da cinque lustri, 25 anni. Seguono Pasquale Ristretta a Cagliari (17 anni al comando e un figlio nel corpo docente), e altri 10 colleghi con oltre dieci anni di anzianità. Il perugino Francesco Bistoni è ancora a quota otto, ma potrebbe rinnovare nonostante gli esposti anonimi che gli sono piovuti addosso. Adesso la procura indaga sull’ignoto diffamatore, ma anche sull’assunzione alla Sapienza del primogenito.
Per finire, il napoletano Gennaro Ferrara, ex mastelliano arruolato dall’Udc. È lui il vero patriarca dell’università italiana. Al volante della Parthenope da ben 22 anni, può contare tra i suoi professori due generi e una figlia. La giovane seconda moglie, una sua ex allieva, opera nel settore delle consulenze. Dal momento che nella piccola università le «famiglie con la toga» sono almeno 10, a suo tempo anche l’ex ministro Mussi tirò le somme: «Certi consigli di facoltà sembrano Natale in casa Cupiello».
Antonio Castaldo
acastaldo@corriere.it
perché non segnalare al giornalista ogni nefandezza di cui siamo testimoni?
Andatevi a vedere le facolta’ di farmacia e medicina a Pisa…
Giro anche a voi la mail che ho mandato a Tommaso
Gastaldi, gestore del
noto sito anti-sofisticazioni universitarie
“Concorsopoli” (che certo
conoscerete)
scusate se mantengo
l’anonimato, capirete i motivi della
discrezione
cosa posso fare?
Devo partecipare tra un mese a un
concorso per ricercatore in xx
presso la facoltà di x dell’Università
di Palermo, dove, a quanto ho
capito,
nonostante io possieda titoli
nettamente superiori (circa 20
pubblicazioni sulle riviste più
importanti in Italia nel settore , oltre a periodi di studio
all’estero come visiting
researcher) sono dato già in partenza per
perdente rispetto a un mio
collega, di sei anni più vecchio, che nella
vita fa invece tutt’altro
(pensate che lavora a tempo pieno in uno
studio prefessionale), ed è
in possesso di 1 sola nota pubblicata su
rivista, oltre a un libro-
truffa (non vedo altri modi per definirlo),
pubblicato con un editore
di Palermo assolutamente sconosciuto, la cui
rilevanza e diffusione
ovviamente non è superiore a quella del suo
condominio: è stato
infatti stampato nella tipografia della nostra
stessa Università e non
possiede nemmeno un codice ISBN (sigh! non mi
esprimo naturalmente sul
fatto che contiene errori, persino nel
titolo!!)
(naturalmente se
volete posso anche mandare titoli e
riferimenti più precisi di quello
che dico)
La mia sensazione di
sconforto è aggravata dal fatto che
per dare una parvenza di regolarità
alla procedura è stato invitato a
presiederla un professore di Milano,
oltre la settantina, già
sostanzialmente in pensione ma designato
proprio dal principale
supporter del mio rivale (professore di Palermo
anch’egli
ultrasettantenne, ma evidentemente ancora in grado di fare il
bello e
il cattivo tempo, in questa gerontocrazia italiana), che è un
suo caro
amico (sai, a quella età, ci si intende…)
Altri colleghi
hanno già
rinunciato a partecipare, visto come si stanno mettendo le
cose, e per
non urtare le suscettibilità, pensano di ritirare la
domanda.
Io non
ho intenzione di mollare, sarà che non riesco ad
rassegnarmi al clima
di assoggettamento che regna in questa città,
all’università poi in
particolare.
Ma c’è qualcosa che concretamente
si può fare in via
preventiva? so che poi potrei fare ricorso, ma i
tempi sono biblici…
non lo so, si possono chiamare ispettori dal
ministero o fare qualcosa
di concreto per prevenire?
Grazie per quello
che fai per l’Università
italiana, hai coraggio e ti stimo molto, per
noi è davvero importante
a presto
giovane dottore di ricerca: o
meglio in cerca d’autore (e di
un lavoro)
In questo caso se l´altro candidato ha quella monografia non puoi fare niente.
Crabonaro,
i giornali son pieni di scandali di parentopoli e concorsi truccati da tanto tempo da farti capire che un gesto isolato, una denuncia, non può far male che a te.
Accetta che sia il professionista col libro ridicolo a vincere il concorso e stai in fila. Se hai 20 pubblicazioni, se sei dottore di ricerca, e sei stato visiting resercher vuol dire che i maestri li hai anche tu, e qualche volta t’hanno beneficato anche a te. Non si pubblica mandando l’articolo e aspettando la risposta, può succedere una volta, ma non 20.
Quindi mettiti in fila e aspetta il tuo turno senza fare il cane sciolto, quando forse non lo sei, e fai vedere ai tuoi maestri che sei una persona responsabile. Socrate bevve la cicuta per non andare contro le regole della sua polis, che lo avevano tutelato per tutto il resto della vita. A te non si chiede tanto.
Scusa la durezza, ma la nostra lotta di ricercatori precari non può svilirsi a battere i piedi quando i pasticcini non sono per noi.
Ammazza Colombo qunto ci sei andato giu’ duro! Va bene la lotta di sistema, ma ‘sto povero cristo non si po’manco incazza’?
France, certo che può incazzarsi. Vorrei anche aggiungere che la mia storia personale è stata più di una volta identica alla sua, e l’unica cosa che spero (per me e per lui) è che non lo sia più, in futuro.
Sono stato duro con lui (e questo vorrei che anche Carbonaro lo leggesse) quanto sono duro con me stesso ogni volta che mi prende la tentazione di dar di matto e correre dai carabinieri a vuotare il sacco sul regime di merda col quale la mia passione per la scienza mi obbliga a confrontarmi ogni giorno trattenendo il vomito.
Ma so che se lo faccio è finita. E so anche che il mondo non può chiedere a uno solo di bruciarsi (peraltro inutilmente) per tutti. Non è giusto.
Il mio primo istinto (vedi la prima parte della mia risposta) è stato di dirgli di non bruciarsi inutilmente, infatti.
Poi – esattamente come faccio con me stesso – gli ho voluto ricordare che noi siamo la serie B, non gli esclusi. E di esclusi, che erano bravi, e ora passano di fronte all’università solo per raccontare ai figli piccoli che un tempo lontano e pieno di promesse erano borsisti, o cultori, o dottori di ricerca, ne conosco tanti.
Non vorrei che Carbonaro la finisse così, e per questo gli ho tolto un po’ d’entusiasmo per le sue vane pulsioni giudiziarie…
Qui, o cambia con la politica, o non cambia nulla.
Troppo spesso – presi come siamo dalle legittime rivendicazioni di noi geni incompresi – ci dimentichiamo delle vere vittime di cui parla Colombo.
Chapeau per Colombo!
Da un vecchio amico (di blog).
Sono completamente d’accordo a meta’ con Colombo: o cambia con la politica, o non cambia nulla. Ovvero, non cambia nulla.
Forse e’ vero che ormai lo scandalo non e’ piu’ scandalo: si appiccica il suffisso -opoli a ogni sistema malato, e si va avanti. Tangentopoli, affittopoli, calciopoli, concorsopoli… 5 minuti di sdegno, e poi tutti a fare il cazzo che ci pare di nuovo.
Ma allora non sto parlando piu’ di Universita’ e ricerca, sto parlando di Italia, e va a finire che divento qualunquista…
Ti dirò di più, Carlo.
Nelle università di provincia, e nelle zone depresse del nostro paese, queste vittime non sono isolate ingiustizie, casi eclatanti. Ma rappresentano il destino della MAGGIOR PARTE (circa il 90%, e non esagero) di coloro che, dopo la laurea, si accostano con passione al mondo della ricerca.
Questi esclusi si notano anche molto dopo: una volta relegati nell’angoletto d’una cattedruzza delle scuole medie, o nei fasti (ma, sotto il profilo scientifico, pur sempre un angoletto puzzolente pari al primo) d’una libera professione di successo (di successo, si, perche bravi lo erano), non si rassegnano. e li vedi organizzare rassegne, riviste tematiche, fare monografie più o meno apprezzabili o patetiche (perchè la voglia è rimasta, ma il vero metodo non glielo ha insegnato nessuno), e simili cose.
Che triste. Che patrimonio sprecato, ucciso.
E non vale che uno come me dica ad un escluso “ma che vuoi? io mi son fatto il culo, ho circa 40 pubblicazioni su riviste di livello scientifico nazionale e internazionale, un dottorato, mille altri titoli e un nonno pirata, so tre lingue, e ho partecipato a 50 convegni, mentre tu pubblichi i tuoi pensieri sulla gazzetta di Vattelapesca, o li affidi a libri stampati da case editrici locali”. Infatti io questo son riuscito a farlo perchè ero dentro un sistema che ha pur sempre costruito la mia carriera di serie B (magari con meno attenzione e solerzia di come ha costruito la carriera di qualcun altro di serie A che alla mia stessa età è associato, ma pur sempre l’ha costruita), mentre a lui questa possibilità non è stata nemmeno data, nemmeno fatta odorare, nonostante corresse lì a fare gli esami, a mettersi a disposizione, a fare speranzoso volontariato facendo brillare i propri embrionali talenti come perle in un porcile.
Mentre io ero e sono ai margini, è vero, ero e sono nella serie B, ma pur sempre ero e sono dentro, e non privo di sussidi economici (un assegno di ricerca istituzionale sono tra i 1300 e i 1500 euro al mese: nella piccola provincia non è poco), per quanto precari.
Vedete, io nella provincia isolata ci sono nato, e da lì vi scrivo (“da Priverno” non c’entra nulla con la mia provenienza, è un nome di battaglia, alcuni sanno perchè). E prima di essere diventato un ricercatore precario (ora abbastanza quotato e “pericoloso”, parrebbe) sono stato un escluso, che ha ricevuto la porta in faccia senza pietà per tanti anni, prima di essere fatto accomodare nell’anticamera riscaldata del sistema. Non semplicemente dimenticato, ignorato, non notato: ma ESCLUSO.
Poi le … alterne sorti della guerra hanno deciso diversamente.
So bene, perciò, cosa vuol dire coltivare per anni un sogno “a distanza” con nulla di concreto in mano, mentre per mangiare fai altro, e mentre ci credi solo tu, e gli altri ci ridono, sopra, o – se ti stimano – hanno pena per te. E’ molto, molto diverso dall’essere il PhD, professore a contratto, assegnista di ricerca, etc. etc., che figurano ora nel mio curriculum, e poter dire che i maggiori studiosi della mia materia sanno chi sono, e cosa scrivo.
E non dimentico.
France, forse è ancora peggio, hai ragione. Riformulo.
“Qui, o cambia la società o non cambia nulla”.
E c’è ancora di peggio al peggio… avete ragione. Ri-riformulo:
“Qui, o cambiamo NOI o non cambia nulla”.
Beh, Colombo, la selezione in se non e’ il male assoluto. Statisticamente, nei paesi evoluti, circa il 40% dei PhD abbandona la ricerca per altri lidi (insegnamento, industria, per alcuni, o un ruolo tecnico sempre nalla ricerca). I restanti intraprendono il post-doc: due-quattro-sei anni di ricerca alla fine dei quali solo un 30% circa diventa un principal investigator, tenured se in una Universita’. Nei paesi evoluti ci sono le alternative, che sono MOLTO decorose. E quelli che “restano fuori” incappano in una selezione che e’ invariabilmente “meritocratica”, fortuna a parte: se pubblichi, trovi fondi, se trovi fondi, pubblichi. E solo chi pubblica e trova fondi resta in gioco.
L’Italia e’ un paese non evoluto, il PhD e’ inutile e dannoso, la scienza pericolosa, la cultura noiosa.
Per France
Certo. Io però sto parlando dell’Italia, di quel che succede qui. E qui chi è messo fuori dalla porta esce dal circolo scientifico, e va a fare altre cose, magari dignitosissime, magari molto più remunerative, o presigiose. Dico solo che – non essendoci serie possibilità di finanziamento privato, o ricerca privata, se non in alcuni campi – queste persone ESCONO DAL CONTESTO DELLA RICERCA.
Il sogno si spezza.
Poi, come scrivevo una volta a una dottoranda di ingegneria (miki, viki, o un nome simile), voi ricercatori di materie “ad alto contenuto tecnologico” dovete capire una volta per tutte che non siete il paradigma del mondo della ricerca. C’è un’altra parte (LETTERE, FILOSOFIA, GIURISPRUDENZA, LINGUE) che o è tenuta viva dalla ricerca pubblica (rectius, dall’università, perchè sono discipline profondamente connesse anche alla trasmissione didattica, a mio avviso) o scompare.
France, a uno che voleva studiare la fenomenologia di Husserl o la logica di Wittengstein, o Koyrè, o, dai siamo ridicoli fino in fondo, Platone, chi glieli dà i soldi? Marcello Pera? No, perchè con Platone – e tanto meno con Erasmo da Rotterdam – i microrobot che vanno a spasso nel corpo umano non ce li fai, e l’idea che, in fondo, la tecnologia esiste perchè ci son stati tutti questi passaggi, ed a un certo punto s’è sviluppata la fisica (vedi per approfondimenti, ad. es., proprio il macchinismo di Alexandre Koyrè) è un’dea poco easy, poco commerciale, poco interessante a chi vede la cultura solo nel suo senso immediatamente produttivo, per spremerla e strizzarla senza curarne la matrice, come un cacciatore dissennato che uccide i cuccioli del branco, o come un coltivatore pazzo che manda tutto il grano mietuto al Mulino Bianco, senza ammassarne un pò per la nuova semina, senza farsi domande sul domani.
La mia denuncia sui cervelli sprecati QUI vuole essere un urlo forte, QUI non ci sono alternative solide, se non in pochi campi, se sei fuori dal sistema della ricerca pubblica. Del resto gli esempi che fai tu sono di studiosi che escono A UN CERTO PUNTO dal circuito accademico, non di giovani talentuosi a cui è sbattuta in faccia dall’inizio la porta, per esser mandati ad insegnare alle scuole medie o a fare i ricchi professionisti per consolarsi almeno col denaro.
Per Rivoluzione.
Si, ma dobbiamo cambiare in massa…in più in Italia c’è questo tremendo problema dell’individualismo alla “si salvi chi può”.
A tal proposito, una domanda. Immagino che avrai seguito il dibattito, che partiva da quel che scriveva “carbonaro” su un concorso truccato. Avrai anche letto quello che gli ho consigliato io. Che ne pensi? Secondo te “cambiare NOI” doveva invece significare rivolgersi alla procura della repubblica? Mi interessa un tuo parere, il punto è delicato
SONO TUTTE BALLE !!!!
Certo i giornalisti hanno una bella fantasia quando scrivono di università: concorsi truccati, parentopoli, nepotismo….tutte balle!
Si, perché mi chiedo come mai anche di fronte a questi fatti , se reali, nessuno di noi fa nulla. Subisce, tace, aspetta “chissachecosa” , facendo nulla.
Tempo fa avevo inviato una mail a tutti i firmatari della lettera alla Montalcini, nella quale proponevo di fare un’esposto “di massa” contro i concorsi truccati.
La proposta era la seguente: c’è un avvocato a Milano che si è detto disponibile a seguire la presentazione di esposti contro i concorsi truccati avvenuti in Italia dal 2004 fino a quelli che averranno nei prossimi mesi.
L’esposto tutela chi lo presenta da eventuali querele, ma la Procura alla quale viene presentato può decidere se archiviare o meno il caso.
Ora, se in Italia in un giorno, vengono presentati 100-200-300 esposti, se lo si comunica alla stampa facendo in modo che “non passino innosservati”, è ragionevole pensare che le Procure non li archivino, ma procedano.
Non si è fatto vivo praticamente nessuno. Paura, codardia, mancanza di fiducia? Bo!
Fatto sta che coloro che fanno i loro porci comodi, continueranno anche grazie a noi. Noi continueremmo a subire…
Almeno che …NON SIANO TUTTE BALLE!
Come possiamo pensare di essere non dico rispettati, ma considerati, se non opponiamo la benché minima resistenza? Si sa: l’esposizione del singolo è deleteria. Ma se siamo in tanti: NO.
Dunque, smettiamo di far parlare di noi come vittime, e cerchiamo di trovare la forza di unirci in un’azione “comune” …. Faber est suae quisque fortunae
Rita,
parli così perchè conosci poco i meccanismi della giustizia.
Che poi “l’esposto tutela chi lo presenta da eventuali querele”, quella è la vera balla. O hai elementi seri in mano o non ti tutela affatto dall’essere denunciato per calunnia, dillo al volenteroso avvocato di Milano (ma immagino siate stati voi a capire male).
E’ poi ingenua l’idea che le procure si muovano o meno sulla base del numero di denunce. Ancora più ingenua, poi, l’equazione tra il muoversi delle procure e la possibilità che davvero si arrivi a delle condanne.
Le iniziative individuali non pagano, e far finire in galera qualche barone (ammesso che succeda) non cambierebbe assolutamente il sistema.
Mani pulite stessa, che sembrava un ciclone, ha sradicato singole persone, ma non ha cambiato il sistema.
Tu sei vittima della vecchia idea che si possa far supplenza giudiziaria alle mancanze della politica.
Non funziona.
O cambia la politica-la società-NOI o non cambia nulla!
A me l’idea di Rita non piace; non posso espormi più di quanto già non faccia. E poi non mi pare fattibile, a che titolo un precario del sud farebbe un esposto in una procura diversa dalla sua?. E come seguire esposti presentati in tutta italia? E che seguito potrebbero mai avere?
Nella migliore delle ipotesi l’esposto di massa porterebbe pubblicità, articoli, dibattiti e null’altro. Bloccherebbe per qualche tempo qualche concorso ma in definitiva nulla dal punto di vista giuridico. E passata la nottata arriverebbero le espulsioni e le epurazioni. Nonostante tutto io, e la mia famiglia, di questo lavoro ci viviamo e non posso per una cosa del genere ritrovarmi in mezzo alla strada.
E tuttavia Rita ha pure ragione quando si arrabbia a sentire cosee come “O cambia la politica-la società-NOI o non cambia nulla”!! Almeno quando ci credeva nella rivoluzione ci si poneva il problema dell’organizzazione.. “O cambia…” non significa nulla. E’ un rimanere in attesa di qualche cosa che non verrà.
A me pare ovvio che o ci si organizza collettivamente, oppure sono solo chiacchiere quelle che facciamo in questo blog. Ovvio che a questo punto sia inevitabile, almeno a livello nazionale, attendere le scelte del prossimo governo. Nel merito di quello che il governo farà dovremo organizzarci.
Sinceramente non credo che i precari possano – o debbano – fare proposte di riforma. Possono indiviare linee di riforma che il governo deve semmai realizzare. Ma sicuramente i precari devono adoperarsi affinché la loro forza cresca e riesca a favorire processi di trasformazione dell’università.
Dato l’attuale quadro giuridico e normativo la via giuridica è legata a casi singoli e particolarissimi. Dato l’attuale mondo in cui viviamo non succede nulla senza che ci si attivi in qualche modo.
procura della repubblica no
tar sì
guardatevi la sentenza del consiglio di stato (per chi non lo sapesse, è il secondo grado della giurisdizione amministrativa, quello che viene appunto dopo il tar) pubblicata sul sito di Lanzetta (chirurgo all’avanguardia a livello internazionale “fregato” da un illustre sconosciuto a un concorso: lui pare sia riuscito ad aggiustare le cose per via giudiziaria, anche se ovviamente a torto subìto)
http://www.universitopoli.it (lo so il suffisso è ormai trito, ma tant’è…)
Precari-proletari di tutto il mondo…o almeno dell’università italiana…UNITEVI
1: è vero: non conosco i meccanismi della giustizia., ma è altrettanto vero che chi l’avvocato con il quale ho parlato, ad oggi, non ha perso una causa. oE’ altrettanto chiaro che l’esposto lo fai se hai qualche elemento.
2 gli esposti verrebbero fatti alle procure di competenza.
3 come seguirli è un problema dell’avvocato che se li prende in carico
scusatemi, ma questo atteggiamento comune di paura di ritorsioni, non fa che confermare la mia idea: non crediamo nelle nostre forze,.
La lotta per i diritti più basilari non esiste più. Alla faccia della storia
Cari amici,
io sono stato prima un escluso – del resto, il prof. con il quale avevo deciso di laurearmi non ha potuto seguirmi -, e poi, per così dire, un incluso di serie B. Altrimenti, come giustamente fa rilevare Colombo, la possibilità di pubblicare proprio non l’avrei mai avuta. Tuttavia, non mi sento in debito per tale possibilità, perchè, in fondo, si tratta di una cosa che, a chi mi ha seguito, non è costata praticamente nulla, mentre io, in questi anni, mi sono fatto in 4 per sdebitarmi.
La mia “carriera”, quindi, sarà la seguente: escluso, incluso di serie B, autoescluso.
Ho deciso, infatti, di autoescludermi al termine dell’assegno, perchè, alla mia età, non si può mica essere pagati a singhiozzo, e, personalmente, anche se otterò il rinnovo – cosa che mi pare più impossibile, che improbabile, per una questione di mancanza di fondi -, comuque dovrò aspettare un lungo periodo per poter ricominciare ad essere pagato. In quei mesi come dovrei campare? Tra poco, quindi, avrò definitivamente concluso la mia “carriera” universitaria: definitivamente, a meno, appunto, di un fantomatico ripescaggio, dopo diversi mesi, conseguente al finanziamento del richiesto rinnovo.
Il problema, poi, è che non tutti possono fare la professione, e comunque, dalle mie parti, il mondo professionale non funziona diversamente da quello universitario.
Cosa aggiungere? Non saprei… Sul mio futuro preferisco non riflettere, anche perchè, come disse quel Tale, “Ad ogni giorno basta la sua pena”.
Scusate riporto, e segnalo agli amministratori del blog, la notizia suggerita da Carbonaro. Mi pare una cosa estremamente importante. Non va purtroppo nella direzione indicata da Rita perché riguarda una procedura avviata successivamente alla chiusura della procedura concorsuale. Tuttavia, apre scenari giuridici nuovi.
COMUNICATO STAMPA
I giudici riportano la legalità nei concorsi universitari
Con una sentenza pubblicata il 4 settembre scorso, il supremo organo di giustizia amministrativa ha confermato quanto stabilito nell’anno 2006 dal TAR Lombardia, con sentenza n. 1960/06, in merito agli esiti di un concorso universitario al quale aveva partecipato il Prof. Marco Lanzetta, Direttore dell’Istituto Italiano di Chirurgia della Mano con sede a Monza e pioniere nel mondo e in Italia dei trapianti di mano.
Il Prof. Lanzetta, assistito dallo studio legale Bassani e associati di Milano, aveva presentato ricorso al TAR Lombardia contro la commissione giudicatrice nominata dall’Universita’ dell’Insubria per la copertura di un posto di Professore Ordinario di Ortopedia alla Facoltà di Medicina di Varese, che lo aveva giudicato non idoneo preferendogli altri due docenti, i Prof. Pilato di Varese e Tranquilli Leali di Roma.
Il Prof. Lanzetta aveva chiesto al TAR l’annullamento degli atti della procedura di valutazione comparativa, poiché la commissione aveva palesemente sminuito l’attività accademica svolta in Italia e all’estero, e la rilevanza scientifica delle sue pubblicazioni.
Il Tribunale Amministrativo aveva accolto il ricorso, ritenendo che nel concorso si fossero verificati “errori di giudizio da parte della Commissione giudicatrice che presentavano vizi di assoluta irrazionalita’ e irragionevolezza”, sia in merito alla valutazione dell’attivita’ didattica svolta all’estero dal Prof. Lanzetta, sia all'”impact factor” delle sue pubblicazioni su riviste internazionali.
Il Consiglio di Stato ha confermato tale sentenza, e l’annullamento del concorso, tra l’altro affermando che: “(…) è oggi pacifico che si tratta di valutazioni (delle commissioni – ndr) pienamente sindacabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l’aspetto più strettamente tecnico”.
Finisce cosi’, definitivamente, il potere insindacabile delle commissioni giudicatrici, che di fatto potevano nascondersi e difendersi dietro il concetto che il loro giudizio fosse inattacabile dai giudici, che si dovevano limitare a giudicare eventuali vizi di forma delle procedure concorsuali.
Infatti, il Consiglio di Stato nella motivazione della sentenza aggiunge che: “(…) il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo”.
Non solo. Il Consiglio di Stato afferma l’importante principio che la valutazione delle commissioni giudicatrici deve tendere a individuare i candidati più meritevoli, a prescindere dalle modalità e dal luogo dove essi abbiano conseguito titoli di merito, in Italia oppure all’estero.
Per quanto concerne il giudizio negativo della commissione in merito all’attività didattica svolta dal Prof. Lanzetta all’estero, il Consiglio di Stato, infatti, osserva che una simile valutazione finiva per: “(…) penalizzare a priori il candidato che ha arricchito la propria esperienza professionale, sia clinica che didattica, all’estero e voglia rientrare in Italia o comunque dedicarsi con maggiore continuità all’attività in Italia”. E’, infatti, noto – sottolinea il Consiglio di Stato: “(…) che in altre nazioni l’affidamento di incarichi di insegnamento e di lezioni avviene sulla base del merito del professore, con la conseguenza che in università particolarmente prestigiose insegnano solo professori che, a prescindere dai titoli formalmente conseguiti, siano ritenuti “meritevoli” di svolgere l’attività didattica”.
Dichiarazione del Prof. Lanzetta: “La sentenza del Consiglio di Stato pone fine ad una stortura del nostro sistema che si basava sulla intoccabilità delle commissioni nei giudizi di merito, e potrà essere punto di riferimento per molti docenti che si sono visti penalizzati ingiustamente. Invito tutti, in primo luogo il Ministero dell’Università, a considerare in chiave positiva tale sentenza, che costringe le parti a condurre una serena ma necessaria verifica delle norme concorsuali.
Mi auguro che il mio caso possa essere d’aiuto a migliorare il nostro sistema universitario, garantendo finalmente quella imparzialità di giudizio nelle valutazioni comparative e imponendo il solo criterio meritocratico come il metodo per promuovere i più bravi ed i più meritevoli”.
scusate ancora (soprattutto per le faccine). Vi linko la sentenza del Consiglio di Stato relativa al commento precedente.
http://www.iicm.it/
buona lettura
la capra wrote:
“E tuttavia Rita ha pure ragione quando si arrabbia a sentire cosee come “O cambia la politica-la società-NOI o non cambia nulla”!! Almeno quando ci credeva nella rivoluzione ci si poneva il problema dell’organizzazione.. “O cambia…” non significa nulla. E’ un rimanere in attesa di qualche cosa che non verrà.
A me pare ovvio che o ci si organizza collettivamente, oppure sono solo chiacchiere quelle che facciamo in questo blog. Ovvio che a questo punto sia inevitabile, almeno a livello nazionale, attendere le scelte del prossimo governo. Nel merito di quello che il governo farà dovremo organizzarci.”
Non sono d’accordo…
La rivoluzione culturale non ha bisogno di
organizzazione materiale…
“O si cambia noi”… ha un preciso significato
e parlarne come si fà ora va oltre il chiacchierare.
La magistratura non risolve il problema… al max fà
un pò di pubblicità al problema… ma il costo da pagare
del singolo è troppo alto…. quindi immolarsi personalemnte
per dare il buon esempio è una gran ca%%ata…
dal 68 NOI siamo ancora chiusi
dentro una grotta… nessuno si è accorto
che fuori bene o male c’è civilità…
parlandone qualcuno comincerà ad uscire… ed altri
lo seguiranno.
Non ci credo caro rivoluzioneitalia alle trasformazioni culturali. O meglio. Credo solo a quelle per le quali si lotta, in un modo o nell’altro.
La degenerazione culturale progressiva del paese mi pare il segno evidente che di una rivoluzione culturale c’è bisogno. Ma anche del fatto che se lasciamo che le cose vadano da sole non si farà altro che favorire e perpeturare gli egoismi e le ignoranze. E qui il 68 non c’entra nulla. Personalmente nutro un grandissimi rispetto e una enorme stima per quell’esperienza, che è però un fatto storico. Noi siamo nati molto molto dopo e in tutt’altro mondo.
E ti ricordo – e lo ricordo a tutti – che se oggi si parla di precariato nell’università e nella ricerca è solo perché ci sono state le lotte contro la Moratti. Non per altri motivi. E se oggi se ne parla molto meno, soprattutto nelle Università, è perché quel movimento è scomparso.
In sostanza, io auspico un movimento organizzato di lotta culturale e politica. Che abbia la forza di imporre il cambiamento dentro l’università e nelle scelte del governo. Come debba essere strutturato questo movimento non lo so, comunque non è cosa che possa nascere dalla testa di uno solo. E’ cosa che nasce dalle pratiche di molti. In questo il limite del blog.
Quanto all’ipotesi magistratura. A me pare una ipotesi importante per tutti quelli che non hanno niente da perdere. E mi pare importante che finalmente si sancisca il principio per cui le commissioni non sono più “insindacabili” ma che a fronte di evidenti distorsioni nelle valutazioni dei titoli (sottolineo dei titoli) la magistratura possa intervenire.
Ovvio che un simile intervento è più facile per l’ordinariato che per l’associazione. Per i concorsi da ricercatore, poi, mi sembra – ora che ci penso a mente lucida – poco proponibile a causa degli scritti e dell’orale che, nei fatti, costituiscono il margine ampissimo di discrezionalità delle commissioni.
Caro la capra, il punto è che il concorso da ordinario è molto meglio di quello da ricercatore, dove ci sono due scritti ed un orale. Per questo, è imprescindibile che tali prove siano eliminate, perchè è in esse che si insidia il privilegio: e Mussi questo l’aveva capito. Anch’io, nel mio piccolo, una volta che mi era stato negato un contratto di insegnamento, preferendomi un candidato ingnoto alla comunità scientifica di riferimento, stavo per fare ricorso al TAR ,SICURO DI VINCERLO, ma poi mi è stato chiesto di non farlo, e quindi ho lasciato perdere, perchè era per me di interesse assai relativo. Ma il contratto si conferisce solo sulle pubblicazioni, senza prove (e senza trucchi). Magari fosse così anche per il posto da ricercatore, in quel caso nessuno potrebbe convincermi a non fare ricorso. Per questo, secondo me, quello che dobbiamo chiedere, con forza, al nuovo governo è:
la modifica delle regole per il reclutamento dei ricercatori!
..leggendo fino in fondo, vedo che poi, passato il giusto entusiasmo, ci avevi pensato anche tu.
[…]
Per rendere concreto il problema, partiamo dal punto di vista di un professore di economia straniero, Mr. John Smith, possibilmente un luminare del suo campo, che sia interessato a stabilirsi in Italia. Assumiamo che, per qualche motivo, vi siano docenti nell’università di Villautarchia che sono potenzialmente interessati ad assumerlo. Cosa succede da qui in poi?
In molti sistemi universitari esteri (compreso quello inglese, completamente pubblico) un candidato ad un premio Nobel costa piu’ di un ricercatore dal curriculum mediocre, esattamente come Ronaldinho costa piu’ di un giocatore di serie C. Il motivo è semplice: così come Ronaldinho attrae più spettatori, genera più diritti televisivi, e aumenta la probabilità di vincere la Champions League, una stella accademica attrae migliori studenti, più sussidi alla ricerca privati e pubblici, e colleghi migliori.
Niente di tutto questo può avvenire in Italia. Le università italiane non possono competere attraverso i salari, che sono fissati per tutti solo in base all’ anzianita’ di servizio. Anzi, è molto probabile che se John Smith ha insegnato negli Stati Uniti, egli debba partire dal gradino più basso della scala salariale, perché gli anni di insegnamento nelle università americane non vengono riconosciuti ai fini salariali.
[…]
continua…
Su questione sicurezza nelle università vi segnalo questo comunicato della FLC:
Sindacato FLC
L’applicazione del decreto sulla salute e sicurezza negli Enti Pubblici di Ricerca e nelle Università Nelle Università e negli Enti di Ricerca la sicurezza sul lavoro è un optional?
http://www.flcgil.it/notizie/news/2008/maggio/nelle_universita_e_negli_enti_di_ricerca_la_sicurezza_sul_lavoro_e_un_optional
Cari ragazzi,
reintervango nella discussione che ho, forse, contribuito a provocare dando quella “dura” risposta a Rita.
Non è una questione di paure, ricatti o altra roba da romanzi d’appendice, a farmi ritenere inopportuna ed inutile la via giudiziaria, quantomeno quella penale. La questione è di livello più elevato, e richiede una analisi un po’ più approfondita dei conflitti istituzionali e del modo per risolverli.
Il punto è che la giustizia penale non ha istituzionalmente il compito di riparare alcun torto, se non simbolicamente, nè di ristabilire la giustizia lesa, ma ha solo quello di punire il colpevole, sperando, così, anche di scoraggiare futuri reati.
Ancora più facile: se un funzionario compie un atto amministrativo illecito sotto lo stimolo della corruzione, il giudice penale lo condanna alla galera, e magari a pagare i danni materiali (se ne ha prodotto), e quelli morali (cioè una cifra quantificata alla cazzo, per esser chiari) all’ente sotto le cui insegne ha compiuto l’atto illecito, e al cittadino che lo ha subito. MA, AD ESEMPIO, NON ANNULLA NE’ DICHIARA INEFFICACE L’ATTO ILLECITO.
Inoltre, la giustizia penale non ha il compito di supplire l’inerzia del legislatore, cercando di ripristinare attraverso punizioni individuali quelle regole generali di comportamento (ad es. una corretta amministrazione dell’università e dei concorsi) che il sistema non riesce ad imporre attraverso norme chiare e costruite in modo tale da essere rispettate.
E non è solo il fatto che la giustizia penale non ha istituzionalmente questo compito. E’ proprio che si è rivelata sempre inefficace da questo punto di vista, proprio perchè non è dotata degli strumenti per orientare i comportamenti dei consociati dettando regole, ma solo degli strumenti per reprimere singoli fatti. Schiaccia la formica ribelle, ma non dice come costruire e far funzionare il formicaio.
Quanto al T.A.R., mi pare che quanto esposto da La capra parli da sè: un singolo può, forse, arrivare a far riparare il suo torto (sulla base delle specifiche ragioni addotte nel suo ricorso), ma rivolgersi alla giustizia amministrativa NON E’ UNO STRUMENTO COLLETTIVO DI SOLUZIONE DEL PROBLEMA.
Quando France, Rivoluzione ed io diciamo, in sostanza (e ciascuno con le sue puntualizzazioni), che o cambiano le regole comuni o non cambia nulla, NON VOGLIAMO DIRE CHE DOBBIAMO STARE PASSIVI AD ASPETTARE IL FATO, MA CHE BISOGNA PROMUOVERE UN DIBATTITO POLITICO E COLLETTIVO, NON GIUDIZIARIO E INDIVIDUALE.
non è detto che dibattito politico/collettivo e giudiziario/individuale debbano essere intesi l’uno in alternativa all’altro: l’ideale sarebbe portarli avanti assieme
Ciao Carbonaro,
il punto è che l’iniziativa giudiziaria è dannosa per il singolo ed inutile per la collettività dei ricercatori.
Quindi non è nemmeno un discorso di eroismo alla Salvo d’Acquisto, è solo un sacrificio inutile, tanto disperato ed emotivo quanto inutile.
Perciò, trovo errata l’idea di portare avanti assieme le due cose: quella che non serve finirebbe, infatti, oltre che a fare vittime inutili, a rendere meno chiara l’iniziativa politica che davvero serve, facendo credere a qualcuno meno esperto che anche quella giudiziaria sia una strada, complementare o alternativa, mentre non lo è.
L’unica soluzione è la pressione politica. Basterebbe uno sciopero per far vedere quanti siamo e che forza abbiamo, esponendoci pure di meno individualmente. E trovo ridicolo – voglio dirlo con franchezza – che da un lato si inneggi alle denuncie coraggiose e si cerchino soluzioni da telefilm in avvocati “che non hanno mai perso una causa” (sic), e dall’altro non si abbia nemmeno il coraggio di metterci tutti insieme a far vedere per un giorno, o per una settimana, come senza di noi non si fanno più esami, nè lezioni, nè le altre attività accademiche di base.
Perchè l’iniziativa giudiziaria sarebbe dannosa?
Perchè sarebbe un “sacrificio inutile, disperato ed emotivo?
Perchè quella giudiziaria non è (anche)una strada?
Perchè sarebbe una soluzione da telefilm?
Ti sei mai chiesto perchè “non si abbia nemmeno il coraggio di metterci tutti insieme a far vedere per un giorno, o per una settimana, come senza di noi non si fanno più esami, nè lezioni, nè le altre attività accademiche di base”
Forse per lo stesso motivo per il quale nessuno alza la testa, per lo stesso motivo per il quale non si ha neppure il coraggio usare il proprio nome quando si scrive.
Alla fine chi è a conoscenza di un reato (ed i concorsi truffa lo sono) se non lo segnala, in qualche modo diventa complice.
Comunque io avievo solo lanciato un’idea. La “politica” che è stata fatta fin’ora ha portato dei risultati così avvlenti che continuarla mi sembra un atto suicida. Comunque….ognuno è libero di fare come crede
Rita
Capisco sia l’ottimismo della volontà (Rita) che il pessimismo della ragione (Colombo), ma da qualche parte bisognerà pur cominciare, ognuno nel suo piccolo, coi FATTI, altrimenti continuerà sempre così, o peggio…
“dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”
Ma noi non siamo Roma, non abbiamo eserciti da inviare a fermare il nemico, non abbiamo altro potere che discutere, unire, e far crescere il movimento.
Carbonaro, a mio avviso confondi: il mio è l’ottimismo della ragione, perchè penso che insieme possiamo creare un movimento se concentriamo su quello le energie. Quello di Rita è il pessimismo della volontà disperata, perchè pensa che non riuscirema a far nulla, tanto da dover affidare l’ultima sortita ad un pubblico ministero e ad un avvocato.
Concludo in latino (visto che è diventato trendy in questo blog…), circa il limite tra eroismo e stoltezza nel sacrificio individuale.
“Si res publica corruptior est quam adiuvari possit, si occupata est malis, non nitetur sapiens in supervacuum” (Lucio Anneo Seneca, Dialoghi, De otio, lib. VIII).
Rita,
Erin Bronckovich non è una storia delle nostre latitudini. Ma non sono le persone come lei (o come te) che mancano. Manca di più: un sistema di fondo, un modo di concepire la giustizia (in parte peggiore, ma in parte migliore di quello statunitense), che le renda davvero efficaci nel nostro caso…
Con stima.
Carbonaro, mai sei proprio sicuro di superare le due prove scritte?
è ovvio che, se alla fine del concorso penserò di aver avuto carenze nelle prove scritte, non ha senso pensare ad un ricorso al tar
Ma se il concorso e’ taroccato, le prove scritte vengono elaborate in modo e maniera che l’unico capace di passarle “senza carenze” e’ il paraculato di turno. Lo so, e’ un po’ il paradosso del Comma 22…
Consentitemi di citare questo riferimento per spiegare perchè dobbiamo lottare per l’eliminazione delle prove scritte al concorso per ricercatore: è proprio lì che si insinuano le peggiori magagne della valutazione
http://www.ateneopalermitano.it/7608/art04.htm
Caro carbonaro,
ho appena finito di discutere con il mio prof. che ritiene – testualmente – una offesa personale, mia nei suoi confronti, il fatto che io non voglia continuare a lavorare gratis dopo che, a giorni, mi sarà scaduto il contratto, che non sarà rinnovato per mancanza di fondi. Una delle cose che mi ha contestato, e che lui mi dice di andare a provare i concorsi da ricercatore fuori, ma io non ci vado: che ci può fare lui, se i fondi, da noi, non ci sono (beninteso: non ci sono perchè si sono fatte tante altre cose).
Ora ho letto l’articolo che hai segnalato… immagina tu il mio stato d’animo.
Proprio non capisco perchè non ci uniamo almeno su questo:
ELIMINAZIONE DELLO SCRITTO E DELL’ORALE
valutazione solo dei titoli, più un colloquio – senza punteggio – solo per verificare l’effettiva riferibilità, al candidato, della ricerca risultante dalle sue pubblicazioni.
Facciamo una petizione e presentiamola al nuovo Ministro, facciamo rumore, andiamo in TV, proponiamo questa ricetta SEMPLICE SEMPLICE (e che non costa niente), hai visto mai che l’accolgono.
(rock)
bombadillo…
io sono con te
Sarebbe un primo passo importante, concordo. Diciamo che ufficilamente sarebbe un buon risultato. Ma, detto fra noi, piano piano, sottovoce…. Non cambierebbe nulla, sarebbe solo meno macchinoso per i candidati e le commissioni, ma sempre concorso sarebbe, sempre commissione ci sarebbe, sempre farebbereo passare chi gli pare a loro….
(e interviene rivoluzioneitalia: aboliamo i concorsi!!!)…
sì è ovvio che in Italia le nuove regole sono fatte per essere aggirate, ma – mettendo da parte per un attimo il nostro atavico gattopardismo – occorre riconoscere che, se vengono valutati solo i titoli, comunque si tenderà a una maggiore oggettività, e casi eclatanti come quello della ricercatrice (bocciata) di Messina, sopra citato, non potranno più essere risolti trincerandosi semplicemente dietro la discrezionalità della valutazione delle prove.
A questa cosa si dovrà arrivare, prima o poi, perchè tutto il mondo ormai ci ride dietro (ve lo garantisco, una volta ho provato a spiegare i meccanismi italiani di reclutamento a un prof. americano, l’imbarazzo era troppo…)
La ricerca viaggia ormai su parametri internazionali, la valutazione non può più restare in mano agli ondivaghi giudizi delle Commissioni di concorso. Tutto sta nell’organizzarsi per FARSI SENTIRE DI PIU’, altrimenti questa lobby continuerà a imbalsamare la ricerca italiana in parametri anti-storici, ma a loro assai più convenienti, dato che gli permettono di giostrare meglio i risultati (è come mettere la moviola in campo: non si fa perchè toglie potere agli arbitri). Non a caso, l’ex-nuovo regolamento che eliminava le prove scritte è stato brutalmente spazzato via dalla casta baronale.
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